Olmo rinuncia al Palio degli Asini
GATTATICO (re). Si rompe la tradizione del Palio degli Asini alla Festa del Grano di Olmo. Dopo 25 edizioni, a sostituirlo martedì prossimo alle 21.30 sarà una gara di Polo sempre con asini. Ma perchè questo cambio di programma? Le voci e le indiscrezioni si rincorrono. Una «gola profonda» dell’organizzazione della tradizionale festa sostiene che i veterinari dell’Ausl di Montecchio hanno di fatto vietato il Palio accogliendo le proteste degli animalisti: gli asini venivano maltrattati e sottoposti ad una corsa per loro innaturale. L’Ausl avrebbe applicato la legge regionale numero 5 del 2005 che all’articolo 7 precisa (in merito a esposizioni, competizioni e spettacoli) che gli animali, sia cuccioli che adulti, non possono essere offerti in premio o vincita di giochi, o in omaggio in ambito di attività commerciali, giochi e spettacoli. Inoltre, lo svolgimento di gare con equini o altri animali, sono autorizzate dal Comune nel rispetto d’indicazioni tecniche della Regione, che prevedono in particolare il tipo di materiale per le piste da corsa ed i requisiti di sicurezza per persone ed animali. Ma l’Ausl non conferma e non smentisce il suo intervento. «Un atto di coraggio - lo definisce Stella Borghi dell’Enpa provinciale - se la legge regionale è stata applicata, ringrazio il servizio veterinario Ausl che l’ha fatto rispettare». Secondo un esponente di una Pro loco reggiana, la legge è puntigliosa ma giusta e punisce anche con sanzioni pecuniarie elevate chi non la rispetta. Afferma che in diverse manifestazioni che ha curato ha dovuto tenere in considerazione la normativa e rivedere alcune competizioni, in certi casi eliminandole dalla programmazione. Sulla questione Palio di Olmo ipotizza una teoria: se il divieto c’è stato potrebbe essere dettato dal fatto che gli asini non sono adatti a questa gara, ovvero una corsa che per un asino non è una pratica naturale. Da parte sua il presidente della Pro loco di Gattatico, Paolo Petrolini, nega ogni intervento dell’Ausl e sostiene semplicemente che alla festa di Olmo «serviva solo una ventata di rinnovamento». Questa novità sarebbe il Polo, classico sport a squadre inglese, dove due squadre composte da quattro giocatori in sella a cavalli e muniti di mazze cercano di vincere la partita segnando un punto a proprio favore ogni volta che si riesce a mandare la palla nella porta avversaria.
Becchi: «Basta con l'abbattimento dei caprioli»
CASTELNOVO MONTI (re). Basta con gli abbattimenti sistematici di caprioli. E’ questo il grido d’allarme dal presidente reggiano di Legambiente Massimo Becchi, che chiede, a nome dell’associazione, di entrare a far parte della consulta venatoria per avere più peso politico e decisionale. La provincia di Reggio, dati alla mano, è quella in cui viene abbattuto ogni anno il maggior numero di questi animali. «Partirà nei prossimi giorni - dichiara Becchi - l’ennesimo piano di abbattimento del capriolo, consistente nel ridurre la popolazione di 3.082 animali, che sommati a quelli prelevati nella stagione venatoria 2008-09 anche quest’anno vedono la nostra provincia ai vertici nazionali per abbattimento di questa specie con circa 11mila capi abbattuti. Se da un lato si evidenzia in alcune aree la necessità oggettiva di ridurre la popolazione dei caprioli dall’altro non va dimenticato che è praticamente impossibile portare la densità di questa specie dagli attuali valori 25,5 animali/km quadrato a quanto prevede il piano di 16-18 animali al chilometro quadrato, in quanto sarebbero necessari piani nei prossimi anni ben più consistenti degli attuali. Lo stesso parere dell’Ispra di Ozzano dell’ Emilia (l’ex istituto nazionale per la fauna selvatica) ritiene compatibile questo valore di densità per la nostra provincia, dove piuttosto si segnala invece una politica di contenimento della specie basato solo con l’abbattimento, senza, come in altre raltà, adottare misure di protezione della porzioni di territorio più danneggiate. Comunque vada questo piano di abbattimento porterà la popolazione di capriolo sui 21mila animali, ovvero con circa 8mila femmine si avranno il prossimo anno circa 13-14mila nuovi caprioli (il tasso di fecondità è di circa 1,7-1,8 nati per ogni femmina), arrivando ad una popolazione di 34-35mila animali. Per arrivare alle densità previste dal piano di faunisticio provinciale occorrerebbe abbattere ben di più degli 11mila previsti oggi con i due piani. «Certamente - continua il presidente Becchi, fornendo cifre a supporto della propria tesi - restano molte perplessità su questi piani, visto che il piano autunnale si è rivelato sbagliato e questo secondo nasce da una richiesta degli agricoltori. E’ infatti sempre più difficile capire quando la parte scientifica è vera e quanto è a servizio di meri interessi territoriali di una categoria rispetto all’altra. Certamente andrebbe perfezionato il sistema risarcitorio alle aziende agricole, oggi per molti aspetti inadeguato, anche perchè questo problema ci sarà sempre visto che 3mila caprioli su 24mila sono il 12,5%, ovvero tutti gli altri resteranno normalmente sul territorio. E’ necessario quindi rivedere tutti una serie di aspetti legata alla gestione della fauna selvatica, visto che il prelievo che partirà nei prossimi giorni riguarderà anche 532 daini e 35 mufloni, senza contare che i danni maggiori sono arrecati dal cinghiale. In una provincia in cui si assiste ad un incremento costante della superficie boscata è ovvio aspettarsi una maggiore diffusione delle fauna selvatica. Non dimentichiamoci inoltre che la situazione di molte specie faunistiche è stata generata anche grazie ai piani di prelievo molto modesti degli anni ’90 che, del tutto sbagliati, hanno sottistimato il problema. «Per un confronto più serio - conclude Becchi - Legambiente chiede di fare parte della consulta venatoria, altrimenti anche la nostra associazione promuoverà raccolte di firme per evitare io piani di prelievo e fa i complimenti al comandante dei vigili provinciali Alessandro Merlo, anche responsabile dell’unità operativa Caccia e Pesca della provincia per la decisione di convocare la prima riunione dell’Atc 4 montagna il giorno 12 agosto. Vista la delicata situazione di questo ambito di caccia, il più problematico da sempre, si chiede di spostarla a data più consona fuori dal periodo prettamente vacanziero, in modo da avere una partecipazione più sentita».
Treviso città aperta ai cani
Treviso - Centro vietato ai cani: il Tar del Veneto accoglie il ricorso presentato dai Comitati e annulla la delibera di Ca’ Sugana. Motivo? Treviso è talmente pulita da non avere alcuna emergenza igienico-sanitaria che possa motivare la chiusura del centro agli amici a quattro zampe. Una battaglia legale costata 61 mila euro, tanto ha dovuto spendere il Comune per difendere la sua ordinanza. Una vicenda, quella del centro storico chiuso ai cani, che dopo cinque anni si può dire sia definitivamente chiusa. Era il 29 giugno 2004 quando Gentilini firmò l’ordinanza che scatenò una valanga di polemiche e proteste. La pubblicazione delle motivazioni che avevano portato i giudici del Tribunale Amministrativo del Veneto, prima a sospendere, poi ad annullare l’ordinanza fanno capire che non sarà possibile nemmeno riproporla in futuro. I Comitati che erano stati rappresentati dall’avvocato Fabio Capraro si sono detti soddisfatti. La sentenza infatti parla chiaro: il sindaco poteva adottare una simile ordinanza, ma solo se «giustificata da emergenze sanitarie o di igiene pubblica». Condizioni di cui a Treviso non ci sono tracce. Insomma, il centro storico trevigiano è talmente pulito e il rischio igienico sanitario lontano, che secondo i magistrati non c’è alcuna urgenza di vietare ai residenti di gironzolare con i propri cani. La salute pubblica non corre alcun rischio. I giudici della Terza Sezione lo scrivono nella sentenza: «Il provvedimento impugnato appare da un lato incogruamente motivato: impone un divieto limitandosi ad un generico richiamo a malattie pericolose per la salute pubblica senza riferimenti a situazioni di emergenza specifiche e localizzate nelle strade dove è imposto il divieto; dall’altro, risulta aver imposto un divieto assoluto, che non tiene neppure conto dei proprietari di cani che risiedono nelle zone interdette, per una situazione non imprevedibile e fronteggiabile con l’esercizio degli ordinari poteri di prevenzione, vigilanza e controllo di cui già dispone l’amministrazione». In pratica, secondo il Tar non serve chiudere le strade ai cani, ma semplicemente far rispettare ai proprietari il regolamento emanato dalla stessa giunta e che viene addirittura citato nell’ordinanza incriminata: quello di provvedere a raccogliere gli escrementi lasciata sulla strada dal proprio cane. Se una parte della vicenda è chiusa, rimangono ancora in piedi due aspetti economici: la difesa della propria ordinanza è costata a Ca’ Sugana, oltre 61 mila euro e l’eventuale richiesta di risarcimento da parte dell’unica proprietaria di cane che è stata multata mentre era in corso l’ordinanza. Una donna di 35 anni residente nella zona interdetta che era scesa a passeggio con il proprio amico a quattro zampe. La donna si era vista recapitare una contravvenzione di 51 euro. Scrivono sempre i giudici del Tar: «Il provvedimento ha prodotto effetti, seppure per un periodo limitato e non si può astrattamente escludere né la possibilità di una successiva richiesta di ristoro patrimoniale». Dunque potrebbe chiedere il risarcimento.
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